ANCHE IL COMPAGNO CONVIVENTE DELLA MADRE E' LEGITTIMATO A VEDERSI RISCONOSCIUTO IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE
ANCHE IL COMPAGNO CONVIVENTE DELLA MADRE E' LEGITTIMATO A VEDERSI RISCONOSCIUTO IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE
Tribunale di Busto Arsizio
In definitiva, quindi, il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) deve essere considerato secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell’ambito delle tradizionali figure parentali di cui sopra, dall’altro non può che rimanere aperta alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benché di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all’eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva o esistenziale (Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 8218/2021).
Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, si precisa che “il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito, riferendosi alla presente fattispecie, nel rapporto padre-figlio” (Cass. n. 24689/2020; v. anche Cass. n. 20835/2018).
Tale definizione del rapporto parentale, del resto, risulta essere l’unica conforme al diritto sovranazionale ed in particolare all’art. 8 CEDU, per come interpretato dalla Corte di Strasburgo; la nozione di “famiglia” prevista dalla norma sopra citata, infatti, comprende tutti i legami familiari, anche quelli c.d. de facto. Più nel dettaglio, come chiarito dalla Corte EDU, “la questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita famigliare è essenzialmente una questione di fatto, che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A n. 31; e K. e T. c. Finlandia sopra citata, § 150). Il concetto di «famiglia» di cui all’articolo 8 riguarda le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami «famigliari» de facto, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile (Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994, § 30, serie A n. 297-C; Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, § 55, serie A n. 112; Keegan c. Irlanda, 26 maggio 1994, § 44, serie A n. 290; e X, Y e Z c. Regno Unito, 22 aprile 1997, § 36, Recueil 1997 II)” (sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia del 24.1.2017, par. 140).
La maggiore o minore prossimità formale del legame parentale non rileva, pertanto, nel senso di escludere la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale, assumendo, invece, rilevanza sotto il profilo probatorio e del quantum risarcitorio, in quanto tanto più ci si allontana dai membri della c.d. famiglia nucleare, tanto più si richiederà la prova rigorosa in ordine all’effettiva esistenza e consistenza del vincolo affettivo (Cass. n. 5452/2020; Cass. n. 7743/2020).
Al riguardo, occorre ricordare che il danno da perdita del rapporto parentale non può considerarsi in re ipsa, ma va allegato e provato dal danneggiato, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 c.c. (cfr. Cass. n. 2228/2012; Cass. n. 10527/2011). Ed invero “Il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse (ovvero non è in “re ipsa”) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che è onere del danneggiato fornire” (Cass. ord. n. 907/2018). La prova del danno non patrimoniale da uccisione dello stretto congiunto può, pertanto, essere offerta anche a mezzo di presunzioni, che in argomento assumono, anzi, precipuo rilievo e possono assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice, non costituendo un mezzo di prova di rango inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non “più debole” della prova diretta o rappresentativa (cfr. Cass., Sez. Un., n. 6572/2006).